Roma sparita

18 maggio 2023

Roma sparita. Storia di Guendalina Talbot, donna buona e caritatevole

 Gwendaline Talbot,
contessa di Shrewsbury
(1817-1840)
Tanta povera gente, tanti bisognosi,  ammalati, invalidi, mendicanti popolavano Roma sparita
In un mondo in cui non esisteva il welfare, un aiuto poteva venire ai bisognosi  da una delle tante istituzioni caritatevoli, che nei secoli erano state create anche con l'obiettivo di arginare e controllare questa diffusa piaga sociale. 
Lo scopo non era spesso quello della carità cristiana,  ma piuttosto il pericolo per l'ordine pubblico, che una massa di diseredati in giro per la città costituiva.
[Per saperne di più clicca qui ...]

Talvolta alle istituzioni religiose, agli ospedali, ospizi etc si affiancavano uomini e donne che avevano fatto della carità uno scopo di vita cristiana. 

Ovviamente questi benefattori e  benefattrici si contavano sulle dita delle mani.

Una dama per le strade di Roma. In questa difficile situazione, una dama in particolare, diventata un personaggio nelle strade di Roma, aveva fatto breccia nel cuore dei diseredati romani, che rimasero fedeli anche alla sua memoria per la bontà, la misericordiaassistenza  dimostrata nei loro confronti da questa giovane nobildonna. 
E se ne ricordarono per un lungo periodo!!!
Si trattava di Guendalina Borghesenata Talbot, che morì prematuramente nel 1840 alla giovane età di soli 23 anni, e che, come detto, rimase a lungo nella memoria del popolo. 

Viaggi a fini educativi
Guendalina Talbot era una nobildonna inglese, nata il 3 dicembre 1817 nella contea di Gloucestershire, in Inghilterra da nobile famiglia di origine irlandese. 
Insieme alla famiglia cominciò fin da piccola a viaggiare: Francia, Svizzera e Italia. 
A Roma nel 1823, Guendalina inisieme al padre Conte di Talbot fu ricevuta da Pio VII e si racconta che la ragazzina riportò grande impressione dalla figura del pontefice e della città, dove ritornò anche negli anni successivi per passare l'inverno, giovandosi insieme alla sua famiglia del clima mite della città. 
Dopo un soggiorno a  Napoli, nel 1826 era di nuovo a Roma, e dopo,  facendo un lungo viaggio, torno di nuovo in Inghilterra
Il padre era infatti convinto dell'importanza dei viaggi a fini educativi. E proprio in quel periodo Guendalina  cominciò ad approfondire la sua cultura con lo studio della storia, di cui quella romana era un capitolo importante, nonchè delle lingue italiana e francese

Guendalina giovane donna misericordiosa
E già, quando risiedeva in Inghilterra, cominciò ad interessarsi dei poveri, dei diseredati che circondano le tenute di famiglia.
In quanto ad aspetto fisico, Guendalina era bellissima e ricordava le angeliche figure dipinte da Raffaello
Arrivata a 17 anni, bella, ricca, nobile, con una buona educazione e un animo gentile e misericordoso Guendalinadopo aver viaggiato tanto, era di nuovo a Roma, ormai diventata sua seconda patria. 
Marc'Antonio Borghese
Qui non poteva sottrarsi all'ammirazione di signori romani che iniziarono a corteggiarla. E varie furono le richieste di matrimonio. 

Incontro con Marc'Antonio Borghese
Fra i tanti, Guendalina conobbe anche il principe Marc'Antonio Borghese che ne rimase incantato e ben presto ne chiese la mano.
Marcantonio V BorgheseVIII principe di Sulmona, IX principe di Rossano (1814 – 1886), era nato il 23 febbraio 1814 a Parigi, dove trascorse gli anni della giovinezza. Nel 1833 si trasferì a Roma con il padre, assecondando così il volere di Papa Gregorio XVI
L'anno seguente chiese la mano di Guendaline Catherine Talbot (Cheltenham1817 – Roma1840), figlia di Lord John Talbot, XVII Conte di Shrewsbury e noto archeologo. 
Dopo aver dato un memorabile ballo in maschera in onore della giovane nel periodo di carnevale, l'11 maggio 1835 il cardinale Thomas Weld, cugino di Lord Shrewsbury, celebrò le nozze nella cappella di Palazzo Odescalchi
Da questo matrimonio nacquero quattro figli, dei quali solo una sopravvisse all'epidemia di colera che imperversò in europa e a Roma fra il 1835-38.  Guendalina si salvò dalla peste ma nel 1840 morì, forse di scarlattina, a soli ventitré anni. 

Guendalina principessa caritatevole 
A Roma la principessa si fece notare per le tante opere caritatevoli nei confronti dei diseredati, degli ammalati e dei bisognosi. L’attenzione ai più deboli, ai poveri, agli ammalati abbandati, nella prima metà dell’800, sono il centro dell’instancabile attività caritativa e di promozione sociale svolta di questa nobildonna.
Anche durante l'epidemia di colera, sopra ricordata, fu instancabilmente al fianco degli ammalati, Lei che poteva vivere nel lusso sia per la sua nascita, che come conseguenza del suo matrimonio.
Non solo, si ha notizia che promosse anche alcune istituzioni caritatevoli come i Fratelli della Dottrina cristiana per l'istruzione dei figli del popolo e dei poveri, le congregazioni parrocchiali delle dame romane per il soccorso ai poveri, e la congregazione parrocchiale per la propaganda della fede.
Il ricordo dell'animo caritatevole di questa principessa "le cui doti della mente erano vinte da quelle del cuore"(1) rimane nei compianti scritti per la sua scomparsa e nella biografia postuma, mentre la bellezza di Guendalina Talbot Borghese sopravvive nei suoi ritratti commissionati dal marito, alcuni realizzati dal pittore Giovanni Battista Canevari (1789-1876).

Racconta Zanazzo. 
Conferma a quanto detto si trova anche le pagine scritte da Zanazzo che contengono un ricordo di questa pia nobildonna.
Fino a qualche anno prima a Roma sparita era in vita qualche vecchietta che si ricordava di questa signora, perchè in gioventù era stata beneficata da lei e appena la nominava le mandava ancora tante benedizioni.
E quanto era bella donna Guendalina! Doveva assomigliare al sole, perchè chi l'aveva conosciuta non poteva fare a meno di dirlo.
Benchè fosse una signora, una principessa, non faceva altro tutto il giorno che andare in giro nelle peggiori tuguri a soccorrere la povera gente. 
A vederla così bella, per certe strade, chi non la conosceva, chissà che cosa si sarà creduto! Infatti un giorno un paino (cioè un bellimbusto) gli si mise dietro a infastidirla. Lei seria seria, lo lasciò fare finchè non arrivò alla casa del povero che andava a beneficare. Arrivata sul portone, si fermò, si voltò e vedendo quel soggetto che gli andava ancora dietro, tirò fuori dal portamonete una piastra d'argento e gliela mise in mano. Figuratevi con che naso rimase quel paino! Quando donna Guendalina morì ( e morì giovane assai, disgraziatamente per Roma) tutti la rimpiansero. 
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(1) Silvagni, La corte pontificia, vol. IV, 1883–85, p. 148). vedi anche 

Bazar di novita artistiche, letterarie e teatrali, Volume 4 dell'11 dicembre 1844


17 maggio 2023

Quando il Tevere scorreva libero dentro Roma


Solo poco più di 100 anni fa il Tevere scorreva dentro Roma provocando spesso pericolose inondazioni.
Periodicamente, il fiume rompeva gli argini e allagava le zone basse, in particolare il Campo Marzio, la valle del Circo Massimo e quella del Foro Romano. In tutte le epoche passate questo problemi si è ripetuto senza soluzione.
Ed era proprio un disastro: le acque in piena infatti provocavano morti, crolli di edifici, seguite, in fase di ritiro, da fango e melma stagnanti, causa anche di gravi epidemie, in particolare di tifo. 
Il Lungotevere 
Oggi sembra impossibile, perchè i lungotevere sono poco vissuti dai romani, in quanto intasati dal traffico. 
Ma ancora alla fine dell' 800  e continuando fino agli  anni '20 del '900, lungo le sue sponde era tutto un brulicare di vita, che si svolgeva proprio lì intorno ai due porti più importanti Ripa Grande e Ripetta
Il Tevere  come via di comunicazione ubicata proprio in mezzo alla città era troppo importante per il suo l'approvvigionamento e perciò
richiedeva un costante controllo e regolamentazione


Porto di Ripetta
La Presidenza dele ripe 
Già nei tempi antichi era stato istituito un Ufficio: la Presidenza delle Ripe.
Il compito principale di questa struttura era proprio quello di assicurare a Roma alcuni generi indispensabili quali combustibili, viveri di ogni tipomateriali edili e ogni sorte di altra merce..
Queste fondamentali funzioni implicavano la necessità di regolamentare il caotico traffico delle barche che arrivavano e partivano, dirimere le frequenti e violente liti fra i barcaioli, controllare il pagamento delle tasse e le licenze per salpare dai porti o attraccare (etc)...
E proprio perciò la Presidenza sviluppò tutta una serie di competenze amministrative, contabili e giudiziarie affidate ai suoi magistrati e ai giudici dei suoi tribunali.
Le inondazioni
Il “periodo nero” del Tevere può comunque essere fatto risalire dal 1450 al 1700 quando si verificarono una dozzina di piene eccezionali, con migliaia di morti, particolarmente rilevanti durante le celebrazioni dei Giubilei del 1475, del 1500 e del 1700 (con inondazione della Basilica di S. Paolo). 
In passato comunque l’alluvione più violenta rimase quella del 24 dicembre 1598, vigilia di Natale, quando addirittura a Piazza Navona (come ricordato da un’apposita lapide) le acque raggiunsero il livello di 5 metri ed al Pantheon di 6.
Proprio a causa delle inondazioni si cercò  di innalzare il livello del terreno in molte zone.  A testimonianza di tutto ciò ci sono le tante targhe che si trovano ancora oggi sui muri di edifici vicino al fiume  che indicano il livello raggiunto dall'acqua durante questi allagamenti. Nella sua storia plurimillenaria Roma ha dovuto fare i conti con il Tevere molte volte, in un rapporto che spesso ha oscillato tra odio ed amore. 
Grazie a suggestive vedute di grandi pittori, incisioni e fotografie di varie epoche possiamo renderci conto della situazione dell'epoca e perciò possiamo rivivere la sua storia e impressionarci per le foto che mostrano piazza del Pantheon allagata.

I muraglioni.  La realizzazione degli argini del Tevere detti  muraglioni, è stata eseguita dopo la piena, alta 17 m, che inondò Roma 28 dicembre 1870. 
A seguito di tale evento eccezionale si radunò un'apposita Commissione, nominata dal Ministero per i Lavori Pubblici, che si occupò della scelta dell'intervento da adottare. La commissione esaminò vari progetti e si soffermò in particolare su quello dell’Ingegner Canevari, membro della Commissione, che consisteva nell’allargare il tronco urbano del Tevere dandogli una larghezza uniforme ed eliminando gran parte degli ingombri esistenti (tra cui l’isola Tiberina).
porto di ripetta


Barcaroli romani
 
Il nuovo Stato italiano decise la costruzione di muraglioni lungo l'argine del fiume. Ma se questi lavori hanno effettivamente posto fine alle inondazioni, hanno però provocato la distruzione del legame che esisteva tra il fiume e la città da quasi tremila anni.
È cambiato radicalmente il paesaggio fluviale, del cui precedente aspetto sono testimonianza quadri e foto.
Inoltre, molte costruzioni monumentali lungo gli argini sono state demolite o fortemente alterate (vedi ponte Cestio, ponte Sant'Angelo). Fu distrutto il porto di Ripa Grande, che si trovava sulla sponda destra del Tevere.

A. Pinelli, S.Maria
in Cappella (oggi scompars
Curiosando nei testi di Giggi Zanazzo
Si trova notizia circa la scomparsa di un bel palazzo, causata proprio dalla costruzione dei muraglioniNel rione Trastevere un tempo esisteva uno degli approdi sul fiume,  dove c'era forse il più famoso “giardino di delizie” della Roma seicentesca, immortalato in uno dei paesaggi di Gaspar van Wittel (il Vanvitelli) e descritto dalle guide del tempo come i “Bagni di Donna Olimpia”, la cognata di papa Innocenzo X popolarmente nota come persona avida di denaro e di potere. Era proprio un bel palazzo con un comodo giardino vicino vicino a santa Maria in Cappella, chiesetta ormai scomparsa. 

13 maggio 2023

Il confessionale

Il confessionale spesso e volentieri usato dai maliziosi preti raccontati dal poeta G.G.Belli.......[vai qui] per impicciarsi della vita intima delle donne  romane, ha una storia molto particolare...
Infatti prima della metà del secolo XVI, la  confessione avveniva in luoghi disparati, sovente privi di una sede idonea. 
Dobbiamo arrivare a San Carlo Borromeo (1538 –1584) per vedere la diffusione di questo arredo sacro.
Egli infatti dispose di introdurre i confessionali in tutte le parrocchie della diocesi di Milano, e diede anche indicazioni sulla loro forma, in particolare per ciò che concerne la chiusura ai due lati e riguardo alla grata che doveva separare il confessore dal penitente. 
Da Milano il confessionale si diffuse rapidamente in tutto il mondo.
La diffusione del confessionale si rivelò utile anche in caso delle epidemie, molto diffuse in quell'epoca e successivamente....
Ebbene si!!! questo arredo religioso, molto comune anche oggi nelle nostre chiese, è frutto dello sforzo di questo personaggio che ne volle la sua diffusione: san Carlo Borromeo.

MILANO. Era un momento difficile quello in cui visse Carlo Borromeo. La Chiesa era infatti sconquassata dai movimenti di riforma, Milano era in mani spagnole e vittima di gravi pestilenze. Insomma un periodo nero il cinquecento a Milano. 

San Carlo Borromeo
SAN CARLO BORROMEO. Discendeva da un'antica e ricca famiglia originaria di Padova, così quando suo zio venne eletto papa con nome di Pio IV (1499- 1565), un mese dopo, il 31 genn. 1560, divenne cardinale
Carlo aveva ventidue anni e, venuto a Roma, si vide affidata la segreteria di Stato e, l'8 febbr. 1560, l'amministrazione perpetua dell'arcidiocesi di Milano.
Chiaro esempio di quella che è passata alla storia come politica nepotistica.

PRINCIPI DI SAN CARLO. Carlo Borromeo era particolarmente rigido in fatto di rapporti umani. Il principio cui si ispirava era che l’ordine interiore si raggiungesse attraverso l’ordine esteriore
: per rimanere puri occorreva rinunciare il più possibile a contatti con gli altri.
Così la diffusione del confessionale risponde proprio a questa esigenza morale, e in particolare ad allontanare in tentazione i preti... 
Sicuraemnte questo personaggio sapeva delle debolezze insite nella
Come già detto indubbiamente ci sarà stata anche la necessità sanitaria di limitare il contatto fra personeper via delle pestilenze che flaggellavano Milano. 
Così si giustifica la necessità di un mobile di legno, chiuso, che consentisse di comunicare tra sacerdote e penitenti solo attraverso una grata bucherellata (con fori "della grandezza di un cece").

San Carlo Borromeo nel 1577 pubblicò due libri sulle Istruzioni intorno alla Fabbrica ed alla suppellettile ecclesiastica [clicca qui] in cui si parlava per la prima volta del confessionale, che prima di lui non esisteva.
 
Instructionum fabricae et suppellectilis ecclesiasticae libri duo, 1577

Cap. XXIII: Il confessionale

Anche nella chiesa più modesta ve ne devono essere al­meno due, per tener distinti gli uomini dalle donne. Se gli officianti sono molti, come nelle cattedrali e nelle collegiate, ve ne sarà uno per ciascuno, sempre distinti fra quelli riservati al­l'uno e all'altro sesso. Dev'essere in legno, chiuso su cinque lati ma aperto sul davanti, con la possibilità però di chiuderlo a chiave con un cancello o un graticcio perchè "quando non c'è il confessore, laici, vagabondi o persone sudicie non vi si possano sedere e dormire oziosamen­te, con irriverenza del ministero che ivi si esercita" ( pag. 124).  Dev'essere diviso vertical­men­te in due ambiti, uno per il sacerdote e uno per il penitente, e dev'essere collocato in modo che il sacerdote si trovi sempre verso l'altar maggiore e il penitente verso la porta. Il tramezzo fra i due ambiti dev'essere aperto da uno sportello che verso il confessore avrà una tendina e verso il penitente una grata piuttosto fitta (con fori "della grandezza di un cece"). Da entrambe le parti vi saranno cartelli pro-memoria per le rispettive funzioni.

1 aprile 2023

Bartolomeo Pinelli e alcune incisioni della Via crucis (1833)

Bartolomeo Pinelli 
(Roma 1781 - ivi 1835). Fu un artista estremamente prolifico. Circa quattromila sono le incisioni e diecimila i disegni da lui prodotti. Nelle sue stampe ha illustrato i costumi dei popoli italiani, i grandi capolavori della letteratura e soggetti della storia romana, greca e napoleonicaIl tema in generale più ricorrente è Roma, i suoi abitanti, i suoi monumenti, la città antica e quella a lui contemporaneaLa sua opera di illustratore possiede, oltre all'intrinseco valore artistico, un rilevante significato documentario per l'etnografia di Roma e dell'Italia. [clicca anche qui]
Qui di seguito vi mostriamo alcune belle incisioni dell'artista Pinelli acquerellate, relative alla via Crucis, risalenti al 1833.

Gesù caricato della croce 



Gesù aiutato dal cireneo 


Gesù asciugato dalla Veronica

Gesù deposto dalla croce


 




 

28 marzo 2023

Il precetto pasquale ovvero come il parroco controlla chi non si confessa e non fa la comunione...


Quando arrivava la santa Pasqua anche a Roma sparita  era obbligatoria l’osservanza del precetto pasquale.
Almeno una volta l’anno e precisamente nel periodo pasqualedalla domenica delle Palme alla domenica in Albis, tutti i fedeli cristiani erano tenuti a confessarsi e a prendere l'ostia benedetta, solo nella parrocchia di appartenenza.  
Il precetto pasquale, cioè la confessione e comunione obbligatoria per tutti i cattolici, a Pasqua era imposto come un dovere morale, anzi un obbligo giuridico, dalla Chiesa.
Per agevolare tutti, il parroco amministrava  continuamente, ed in tutte le ore della mattina, la comunione ai suoi parrocchiani.
Chi non si confessava e comunicava  almeno una volta all'anno sarebbe incorso nella pena dell’interdetto cioè l'impossibilità da vivi di entrare in  chiesa e da morti della privazione della sepoltura ecclesiastica. 

I parroci controllavano i parrocchiani tramite la distribuzione di biglietti
Responsabili di questa, come dire, operazione precetto pasquale erano i tanti parroci di Roma sparita
Proprio perché conoscevano bene le anime della loro parrocchiaera compito loro controllare capillarmente se tutti si comportavano da buoni cristiani.  
E così erano gli stessi parroci che facevano consegnare dal sagrestano ad ogni parrocchianoal momento di prendere il sacramento, un biglietto che valeva da attestato del precetto rispettato… 
Poi terminato il periodo pasquale, giravano  a raccogliere per le case
Certificato di avvenuta confessione
del precetto pasquale
Parrocchia di S.Caterina della Rota (1861)


questi biglietti, che i parrocchiani avrebbero dovuto gelosamente custodire. 
 
Figuriamoci gli imbrogli, le false giustificazioni, le astuzie e i trucchi di ogni tipo a cui dava luogo questo sistema "fiscale".  
Proprio per controllare  i parrocchiani, che volevano fare i furbi, a Roma sparita (ma anche nelle altre province dello stato pontificio vigeva lo stesso regime) nessuno poteva confessarsi e comunicarsi in altro luogo se non nella propria parrocchia, né si potevano presentare attestati di altri parroci. E tutti quelli che si confessavano e comunicavano solo a Pasqua erano detto pasqualini.

Raccolta dei biglietti e guai per chi non lo aveva.  Finita la pasqua, durante la quaresima erano sempre i parroci che stendevano uno Stato delle anime, relativo alla loro parrocchia
Recandosi personalmente in case, osterie, botteghe e locande, controllavano così che tutti i romani adulti e battezzati, ad eccezione dei pubblici peccatori, si confessassero e ricevessero la comunione. Si trattava in sostanza di un registro in cui venivano scritti i dati anagrafici e religiosi dei parrocchiani. Questi censimenti ante litteram, sia pure molto imprecisi e redatti con finalità di controllo della popolazione, rappresentano una preziosa fonte per conoscere il numero e la composizione degli abitanti della Roma pontificia.  
C'era comunque, anche dopo pasqua, la possibilità di salvarsi 
in extremis...  
Terminato però anche il periodo di proroga, il giorno dopo la pentecoste (cioè cinquanta giorni dopo Pasqua) ogni parroco inviava una lista con i nomi degli inadempienti al Vicariato.
Però, poichè spesso i parroci erano corrotti, il criterio seguito nello stendere la lista era lacunoso. Nell'elenco infatti si trovavano esclusivamente nomi di povera gente,  e nel caso in cui il parroco fosse stato onesto e avesse messo nella lista anche i trasgressori, cioè i ricchi, i nobili  allora ci pensava addirittura il potente cardinal Vicario a cancellarli con un colpo di spugna dalla lista.

Il tribunale del Vicario si occupa degli inadempienti. La fase successiva prevedeva che i parrocchiani disobbedienti venissero invitati, entro i seguenti 12 giorni a presentarsi al tribunale del Vicariato per giustificare il loro comportamento, in caso contrario si sarebbe proceduto all'interdetto. Il potere religioso così andava a braccetto co quello giudiziario. 
Infatti tutta questo sistema, che partiva nelle chiese, era poi seguita dal tribunale del Vicario, che, in conclusione, si interessava di stendere un listone degli scomunicati e di farlo affiggere nel portico della chiesa di san Bartolomeo all'isola, il 25 agosto.
A. Pinelli, Chiesa di  
San Bartolomeo all'Isola
Questo è solo uno dei casi significativi di come i preti nella Roma sparita  entravano pesantemente nella sfera privata del popolo povero, ignorante, superstizioso, affamato, e timoroso dell'autorità che circondava la figura del parroco. Costui proprio grazie a questi metodi esercitava un potere capillare sulle anime a lui affidate.

Imbrogli per il biglietto
Questo sistema a Roma sparita 
nascondeva imbrogli, trucchi, falsificazioni come già detto prima. 
Lo racconta Giggi Zanazzo, e prima di lui il Poeta Giuseppe Gioachino Belli
Entrambi infatti  denunciano la corruzione dei preti, nonchè del sistema più in generale di far finire nelle  liste solo i poveracci, che non avendo soldi, non potevano pagare nessuna elemosina per comprarsi un biglietto. La denuncia comprendeva poi anche il fiorente commercio di biglietti che passavano facilmente di mano in mano (vedi la poesia di G.G. Belli Li Chìrichi).

24 marzo 2023

Digiuno durante la Quaresima, ma gran consumo di maritozzi, anche per la Festa degli innamorati.

Durante la QuaresimaRoma sparita, la Chiesa imponeva l'’osservanza di digiuni severissimi in segno di penitenza
E quando la sera si diffondeva per le strade il suono delle campane, che annunciavano l'inizio del periodo quaresimale, tutto il popolo aveva pronto un proverbio: "la campana suona a merluzzo". 
Digiuno per la quaresima
In quei lunghi 40 giorni di quaresima a Roma sparita aumentava il consumo del baccalà, e del pesce.
Per chi se li poteva permettere! 
Tutti si dovevano astenere assolutamente dal consumare carne. 

Dieta dei poveri
Per il popolino la quaresima non era un problema, visto la penuria  di alimenti ricchi e sostanziosi, che non comparivano quasi mai nella sua dieta e della carne, riservata alle grandi occasioni, naturalmente  quella ovina e le viscere dei bovini; a Roma poi si produceva formaggio pecorino, ricotta e latte. 
Accanto al pane la dieta dei poveri era perlopiù fatta di vegetali, come quelli che nascevano spontanei nelle campagne e negli orti addossati alle porte di Roma o nelle tante Ville, e che venivano raccolti dai romani. 
Non dimentichiamo che la cicoria era (ed è) una verdura tipicamente romana e nasce spontanea ai margini di sentieri, campi coltivati, terreni incolti, zone a macerie e ambienti con ruderi,  praterie ma anche in aree abitate dall'uomo. Così si poteva cogliere magari passeggiando a Villa Borghese o ancora durante una gita ai Castelli.

per aggiungere proteine si poteva mangiare una frittata, o dei legumi .
Il prezzo del pane poi era calmierato perchè anche questo era la base della dieta dei poveri... 
Non mancava mai un bel bicchiere di vino [...]  dei Castelli...
Proprio a causa della povertà periodiche erano le distribuzioni di minestre per i poveri , soprattutto nei mesi invernali e primaverili, quando non si trovava più grano e farina di frumento per masse di “miserabili”   e famiglie di braccianti disoccupati.

Dieta dei ricchi
Invece per i ricchi, i nobili e i cardinali  il digiuno imposto in quaresima era un bella rinuncia! 
Una deroga a questo stretto regime alimentare era concessa solo agli  anziani e ai malati, previo permesso scritto da parte del medico e del parroco, era loro concesso  di mangiare uova,  formaggio e la stessa carne
E così grazie a qualche mancia si riusciva ad aggirare l'ostacolo e spesso a mantenere il regime alimentare solito...
Ci racconta il periodo della quaresima il poeta romanesco G.G.Belli nel sonetto: Er primo giorno de quaresima..
Addio ammascherate e carrettelle, pranzi, cene, marenne e colazione, fiori, sbruffi, confetti e carammelle. 
[Versione. Addio a mascherate e carrozzelle, merende e colazioni, fiori, spruzzi, confetti e caramelle.]

C'era però anche chi era ligio a quanto imponevano i divieti emanati dalle autorità ecclesiastiche: per questi rimanevano soltanto i ceci e il baccalà, per chi, come già detto,  se lo poteva permettere... vista la povertà in cui viveva  il popolo, per il quale era quaresima tutto l'anno. 

I maritozzi  
Un'usanza prettamente romana era il  maritozzo quaresimale (2), dolce tipico romano, che si usava mangiare in alternativa, proprio in questo periodo, perlopiù a cena. 
E qualcuno era così devoto... da mangiarsene chissà quanti anche durante il giorno..
Almeno così ci riferisce, con la sua arguzia tutta romanesca, Giggi Zanazzo, nei suoi "Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma" .

Simboli dell'amore
Un'altra usanza, che ci può far pensare all' attuale festa degli innamorati era quella di regalare il primo venerdì di marzo il «santo maritozzo» alla propria fidanzata, dalla forma «trenta o quaranta vorte ppiù ggranne de quelli che sse magneno adésso; e dde sopre era tutto guarnito de zucchero a ricami». 
[...trenta o quaranta volte più grande di quelli che si magnano adesso; e di sopra era tutto guarnito di zucchero a ricami]
Roesler F., Prati di castello
Sul maritozzo ci potevano essere disegnati due cuori intrecciati, oppure due mani che si stringono, o un cuore trafitto da una freccia  («dù cori intrecciati, o ddù mane che sse strignéveno; oppuramente un core trapassato da una frezza»). 
Tutti simboli che si usavano nelle lettere scambiate fra innamorati. 
Dentro al maritozzo, qualche volta, ci si metteva dentro come dono un anello o altro oggetto d'oro. L'origine  del nome e' sicuramente una deformazione del nome marito...
In una canzoncina in uso a Roma sparita si diceva:

«Oggi ch’è ’r primo Vennardì dde Marzo,
Se va a Ssan Pietro a ppija er maritòzzo;
Ché ccé lo pagherà ’r nostro regazzo».
E dde ’sti maritòzzi:
«Er primo è ppe’ li presciolósi;
Er sicónno pe’ li spósi;
Er terzo pe’ l’innamorati;
Er quarto pe’ li disperati».
«Stà zzitto, côre:
Stà zzitto; che tte vojo arigalàne3
Na ciamméllétta e un maritòzzo a ccôre».


[Versione. 
Oggi che è il primo venerdì di Marzo,
si va a San Pietro a prendere il maritozzo
che ce lo pagherà il nostro ragazzo
E di questi maritozzi:
"il primo  è per chi ha fretta
il secondo è per gli sposi, il terzo per gl'innamorati
il quarto per i disperati
stai zitto, cuore
sta zitto che ti voglio regalare
una cimabelletta e un maritozzo fatto a cuore"]
E infatti certi maritòzzi in quel periodo erano fatti a forma di cuore.

Racconta Zanazzo (2)
Così i maritozzi per Zanazzo sono "pani di forma romboidale, composti di farina, olio, zucchero e talvolta canditure o anaci o uve passe. Di questi si fa a Roma gran consumo in quaresima, nel qual tempo di digiuno si veggono pei caffè mangiarne giorno e sera coloro che in pari ore nulla avrebbero mangiato in tutto il resto dell’anno."

Riferisce che a Roma sparita i ragazzi e le ragazze insieme alle minenti, cioè  popolane arricchite sempre molto vistose, che ci tenevano moltissimo ad esporre il loro status, andavano tutti a san Pietro ogni venerdì di marzo e con la scusa di sentire la  predica di qualche predicatore quaresimale, facevano conversazione, facevano l'amore e mangiavano proprio i maritozzi
E chi ci  andava acquistava l'indulgenza.
 Tutti i venerdì anche il papa era lì, accompagnato dai cardinali che lo seguivano due alla volta, poi le guardie nobili, dagli svizzeri e anticamente dalle guardie urbane  (dette capotori).
Arrivato a san Pietro si inginocchiava a rimaneva a pregare qualche mezz'ora. 

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(1) Attualmente questo dolce è costituito da pane morbido preparato con pinoli, uva e scorzetta d'arancia candita e eventualmente tagliato in due, per lungo, spesso riccamente farcito con panna montata.
(2) E sono stati immortalati nel 1851 da Adone Finardi, che scrisse in dialetto romanesco un poemetto dal titolo «Li maritozzi che se fanno la Quaresima a Roma». E i mmaritozzi compaiono pure nel famosissimo sonetto di G.G. Belli " Er padre de li santi" .